LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione lavoro Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Federico Roselli - Presidente; Dott. Pietro Venuti - Consigliere; Dott. Umberto Berrino - Consigliere; Dott. Rosa Arienzo - Consigliere; Dott. Giulio Fernandes - Rel. Consigliere. Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 2439-2010 proposto da: K. N. C.F. elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Zebio 30, presso lo studio dell'avvocato Camici Giammaria, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Breschi Daniela, giusta delega in atti; ricorrente; Contro I.N.P.S. - IStituto Nazionale della Previdenza Sociale C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Pulli Clementina, Riccio Alessandro, Valente Nicola, giusta delega in atti; ricorrente; Nonche' contro Ministero dell'economia e delle finanze, comune di Pistoia, regione Toscana; intimati; Sul ricorso 6219-2010 proposto da: K. N. C.F. elettivamente domiciliata in Roma, via Monte Zebio 30, presso lo studio dell'avvocato Camici Giammaria, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Breschi Daniela, giusta delega in atti; ricorrente; Contro I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Pulli Clementina, Riccio Alessandro, Valente Nicola, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso; resistente con mandato; Avverso la sentenza n. 2/2009 della Corte d'appello di Firenze, depositata il 23 gennaio 2009 r.g.n. 981/2007 + 1; Avverso la sentenza n. 263/2009 della Corte d'appello di Firenze, depositata il 4 marzo 2009, R.G.N. 997/2008; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio 2014 dal Consigliere Dott. Giulio Fernandes; Udito l'Avvocato, Camici Giammaria; Udito l'Avvocato Pulli Clementina; Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto Celeste, che ha concluso per: rimessione alla Corte costituzionale o in subordine accoglimento del secondo motivo, rigetto del primo. Fatto Il Tribunale di Pistoia con sentenze nn. 207 e 208 dell'anno 2007 riconosceva a K. N. - cittadina extracomunitaria legalmente soggiornante in Italia - il diritto all'assegno sociale maggiorato nonche' alla pensione ed all'indennita' di accompagnamento per ciechi assoluti con decorrenza rispettivamente dal giugno 2004 e dal marzo 2005 (prestazioni queste gia' attribuite in via amministrativa dal dicembre 2006, ossia da quando la K. aveva ottenuto la carta di soggiorno in virtu' del conseguimento da parte di suo figlio della cittadinanza italiana). Tale decisione veniva riformata, su gravame dell'INPS, dalla Corte di appello di Firenze con sentenza del 23 gennaio 2009) di rigetto della domanda della K. La Corte di merito osservava che l'appellata aveva ottenuto la carta di soggiorno con decorrenza dal quinquennio della sua costante permanenza in Italia, essendo soggiornante (per ricongiungimento familiare) dal 16 febbraio 2001, ed infatti prima del decorso di tale periodo non avrebbe potuto conseguire detta carta ai sensi del disposto dell'art. 80, comma 19, del d.lgs. n. 388 del 23 dicembre 2000. Evidenziava, quindi, che la sentenza della Corte costituzionale n. 306 del 2008 - nel dichiarare la incostituzionalita' del citato art. 80, co. 19, e delle disposizioni normative collegate nella parte in cui escludevano che l'indennita' di accompagnamento, di cui all'art. 1 della L. 11 febbraio 1980 n. 18, potesse essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perche' essi non risultavano in possesso dei requisiti di reddito gia' stabiliti per la carta di soggiorno (ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo 8 gennaio 2007 n. 3 per il permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo) - aveva argomentato che era legittima la limitazione all'accesso ai benefici assistenziali sempre che non fosse palesemente irragionevole od arbitraria, tale essendo quella che subordinava detto accesso al possesso di un determinato reddito. Partendo, dunque, da tale rilievo la Corte di merito riteneva che era ragionevole condizionare il riconoscimento delle prestazioni assistenziali richieste nella presente controversia alla sussistenza degli altri requisiti richiesti per ottenere la carta di soggiorno e, in particolare, a quello della durata minima di soggiorno, indice evidente di una stabile residenza nel territorio dello Stato. Sottolineava che tale limitazione non era in contrasto con il divieto di discriminazione di cui all'art. 14 CEDU, divieto che doveva trovare applicazione nell'ordinamento che aveva recepito le disposizioni CEDU con il rispetto del cd. criterio del margine di apprezzamento, come univocamente affermato dalla stessa Corte di Strasburgo. Ed infatti, in ossequio a tale criterio, il divieto di discriminazione - da considerare come norma parametro di costituzionalita' delle norme interne con esso contrastanti attraverso l'art. 117 Cost. - non andava inteso in senso assoluto, bensi' come principio di non discriminazione irrazionale o sproporzionata. Con la conseguenza che la previsione normativa dell'art. 80, co. 19, non presentava profili di irragionevolezza o sproporzione nel prevedere, quale presupposto per l'attribuzione di una serie di benefici economici, che lo straniero avesse manifestato la volonta' concreta di vivere in Italia soggiornandovi per un congruo periodo. In altro giudizio il Tribunale di Firenze, con sentenza del 31 marzo 2008, rigettava la domanda proposta dalla K. intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all'assegno sociale maggiorato nonche' alla pensione ed all'indennita' di accompagnamento per ciechi assoluti con decorrenza dalla data delle domande amministrative - rispettivamente dal 30 maggio 2001 e 30 marzo 2001 - fino alla data dell'avvenuto riconoscimento in via amministrativa (come detto, nel dicembre 2006). La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 4 marzo 2009, rigettava il gravame proposto dalla K. confermando la decisione del primo giudice sulla scorta della stessa motivazione sopra riportata della decisione in data 23 gennaio 2009. Con separati ricorsi, entrambi affidati a due motivi, la K. ha chiesto la cassazione delle due decisioni della Corte territoriale. In entrambi i giudizi ha resistito con controricorso l'INPS. La ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c.. Diritto Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva (stante la identita' dei motivi) ai sensi dell'arte 274 c.p.c.. Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto che la carta di soggiorno fosse stata rilasciata alla ricorrente dopo il decorso di cinque anni di permanenza in Italia, laddove il rilascio era avvenuto ai sensi dell'art. 9, comma 2, T.U. n. 286/1998 in quanto la K. ara madre di cittadino italiano (avendo il di lei figlio conseguito la cittadinanza italiana nel febbraio 2005). Si argomenta che da tale errata valutazione dei presupposti di fatto del conseguimento della carta di soggiorno era derivata una altrettanto non corretta impostazione della questione giuridica trattata nell'impugnata sentenza. Viene, quindi, censurato l'assunto secondo il quale la concessione della carta di soggiorno, nella disciplina vigente ratione temporis, presuppone necessariamente, oltre al possesso dei requisiti reddituali, anche la prolungata permanenza nel territorio italiano, visto che sono contemplate altre ipotesi di rilascio che prescindevano del tutto dal requisito della residenza prolungata (ad es., allo straniero coniuge o figlio minore o genitore conviventi di un cittadino italiano o di cittadino di uno Stato dell'Unione Europea residente in Italia). Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell'art. 80 co. 19 L. n. 388/2000. Si evidenzia che l'impugnata sentenza - partendo dal rilievo che la decisione della Corte Cost. n. 306/2008 di incostituzionalita' dell'art. 80, co. 19, cit. avesse censurato la sola irragionevolezza del requisito reddituale, senza necessariamente travolgere l'intero impianto normativo - aveva erroneamente considerato costituzionalmente legittima la disposizione in esame laddove subordina la concessione delle provvidenze economiche al presupposto della prolungata residenza nel territorio dello Stato. In effetti, invece, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare la diversa questione di diritto, cioe' se il possesso della carta di soggiorno (ritenuto emblematico della volonta' di stabile permanenza nel territorio dello Stato) potesse assumere efficacia discriminante ai fini dell'accesso agli invocati benefici, ovvero se la distinzione posta dall'ordinamento tra cittadini e stranieri, pur non occasionalmente residenti ma sprovvisti di tale titolo di soggiorno, risultasse costituzionalmente illegittima in quanto irragionevole, arbitraria e sproporzionata anche in relazione ai principi sanciti nell'art. 14 della CEDU ed all'art. 1 del Protocollo Addizionale. Si conclude, quindi, il motivo chiedendo, ove questa Corte non ritenga di poter accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 80 co. 19 cit., di sollecitare nuovamente un intervento della Corte costituzionale perche' venga dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 80 comma 19 cit. «...per contrasto con gli art. 2, 3, 10 38 e con l'art. 117 comma 1 Cost. in relazione al principio di uguaglianza e non discriminazione sancito dalla CEDU e dalla Carta di Nizza anche con riferimento a prestazione di sicurezza sociale (ivi comprese quelle non contributive), nella parte in cui la censurata disposizione impone irragionevolmente il possesso della Carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) ai fini della concessione dell'assegno sociale e delle altre provvidenze per invalidi civili (nella fattispecie ciechi civili assoluti), da parte di stranieri regolarmente e non episodicamente soggiornanti in Italia, anziche' richiedere semplicemente il soggiorno regolare e non episodico...». Orbene, osserva il Collegio che entrambi i motivi risultano logicamente connessi e sono da trattare congiuntamente in quanto censurano le impugnate sentenze sostanzialmente per non avere riconosciuto le prestazioni richieste dalla K. solo ed unicamente perche' a cio' ostava il disposto dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, non essendo la predetta in possesso della carta di soggiorno, stante la incontestata ricorrenza di tutti gli altri requisiti richiesti dalla normativa per poter accedere alle prestazioni invocate. E', dunque, evidente la rilevanza della questione di costituzionalita' del citato art. 80, comma 19, L. n. 388/2000 nel presente giudizio questione che, per quanto si dira', non e' manifestamente infondata. L'art. 80, comma 19 cit. prevede che «Ai sensi dell'art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani e' consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazione». L'art. 41 del d.lgs. n. 286/1998 a sua volta dispone: «Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche' i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti.». La «carta di soggiorno», regolata dall'art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 - ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - come modificato dall'art. 1. d.lgs. n. 3/2007, richiede per il suo rilascio, tra l'altro, il «possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita'». Come e' noto la giurisprudenza costituzionale si e' occupata dell'art. 80, comma 19 L. 388/1988 cit. ritenendo costituzionalmente illegittima la restrizione dell'ambito applicativo della disciplina, in riferimento a diverse prestazioni assistenziali di volta in volta interessate (l'indennita' di accompagnamento, l'assegno di invalidita', la pensione di inabilita', l'indennita' di frequenza, tra le quali non vi sono quelle per cui e' causa, come di seguito precisato). La Corte ha evidenziato che l'irragionevole differenziazione di trattamento viola gli articoli 2, 3, 10, 32 e 38, incidendo sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai possibili rimedi alle menomazioni prodotte da patologia di non lieve importanza, e sul principio di non discriminazione degli stranieri regolarmente soggiornanti nella garanzia dei diritti fondamentali della persona, che rientra tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Ha sottolineato che al legislatore italiano e' consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con gli obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza degli extracomunitari in Italia e puo' subordinare altresi', non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazione di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata. Pero', una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini. In questo ambito, la Corte ha, nelle prime pronunce (sent. nn. 306/2008, 11/2009), evidenziato l'incongruenza del legislatore nel subordinare la prestazione assistenziale a titoli di soggiorno che presuppongono un reddito, mentre nelle ultime pronunce (a partire dal 2010, sent. nn. 187/2010, 329/2011, 3/2013) ha inquadrato la problematica nel riconoscimento dei bisogni primari della persona e nei suoi diritti fondamentali, alla luce della CEDU e della relativa giurisprudenza. In particolare con sentenza n. 40 del 2013 la Corte e' tornata ad occuparsi della legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, «nella parte in cui subordina la concessione della indennita' di accompagnamento al possesso della carta di soggiorno, e dunque anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato» dichiarandone l'illegittimita' costituzionale laddove subordina al requisito della titolarita' della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennita' di accompagnamento di cui all'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 e della pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118. Ha osservato la decisione che in ragione delle gravi condizioni di salute dei soggetti di riferimento, portatori di handicap fortemente invalidanti (in uno dei due giudizi a quibus si tratta addirittura di un minore), vengono infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto - quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarieta' rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie -, tutti di rilievo costituzionale in riferimento ai parametri evocati, tra cui spicca l'art. 2 della Costituzione - al lume, anche, delle diverse convenzioni internazionali che parimenti li presidiano - e che rendono priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, cosi' come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico, come nei casi di specie. Cio' detto, va rilevato che i medesimi principi affermati nella riportata giurisprudenza della Corte costituzionale non possono non valere anche con riferimento alle prestazioni assistenziali, richieste nel giudizio principale, della pensione di inabilita' per ciechi assoluti istituita dall'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, dell'indennita' di accompagnamento per ciechi assoluti istituita con l'art. 1 della legge 28 marzo 1968 n. 406 - attualmente prevista dall'art. 1 della legge 21 novembre 1988 n. 508 - e per l'assegno sociale di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, all'art. 3, comma 6 maggiorato dall'art. 38 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 del 2001, art. 38. Ed infatti, tanto la pensione di inabilita' per ciechi assoluti che l'assegno sociale maggiorato sono destinati non gia' ad integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo «sostentamento» idoneo ad assicurarne la sopravvivenza. Cosi' come l'indennita' di accompagnamento per ciechi assoluti e' una provvidenza che attiene anch'essa ai diritti fondamentali presupponendo una condizione fisica gravemente menomata e costituisce uno strumento previdenziale di carattere «essenziale» agli effetti della tutela degli interessi coinvolti, ed un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei «bisogni primari» inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che e' compito della Repubblica promuovere e salvaguardare. Riguardo a tale ultima prestazione e' il caso di sottolineare che essa e' prestazione diversa dalla indennita' di accompagnamento prevista per coloro nei cui confronti sia stata accertata una totale inabilita' per affezioni fisiche o psichiche e l'impossibilita' di deambulare senza l'aiuto permanente di' un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti della vita, di avere bisogno di assistenza continua (e' di importo maggiore e le due indennita' possono essere cumulate ai sensi dell'art. 2 della legge 31 dicembre 1991 n. 429). Quanto all'assegno sociale maggiorato va pure precisato che l'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e' inapplicabile «ratione temporis» nel giudizio principale. Per quanto esposto il Collegio ritiene necessaria la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale dovendosi precisare che, avuto riguardo al tenore letterale delle norme sospettate di incostituzionalita', non e' possibile fornire una interpretazione costituzionalmente orientata delle stesse ne' ritenere che siano state ormai espunte dall'ordinamento sulla base delle pronunce gia' emesse dal Giudice delle Leggi, aventi efficacia limitata alle prestazioni, di volta in volta esaminate. Peraltro, neppure e' poi possibile procedere alla disapplicazione delle norme interne in contrasto con l'art. 14 CEDU rappresentando quest'ultima solo una «norma di principio» (non «self executing») ed alla luce dell'orientamento, ormai consolidato, della Corte costituzionale secondo cui le previsioni della Convenzione non hanno efficacia diretta nel nostro ordinamento (cfr. tra le varie, Corte Cast. sent. nn. 80 del 2011, 348 e 349 del 2007). Del resto, anche la Corte di Giustizia (CGUE, sentenza Kamberaj del 24 marzo 2012, nella causa c-571 /10) ha affermato che il rinvio operato dall'art. 6 , paragrafo 3 TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest'ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa.